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Ernia inguinale recidiva? meglio la laparoscopia

Ernia inguinale recidiva: cos’è?

L’ernia inguinale appartiene alla grande famiglia delle ernie della parete addominale e rappresenta una delle malattie di interesse chirurgico più frequenti in tutto il mondo: si calcola che le ernie in generale colpiscano dal 5 al 7% della popolazione, e che di esse circa il 75% sia rappresentato dalle ernie inguinali. In altri termini, in Italia circa 2.736.000 persone sono affette da ernia inguinale. La maggioranza di questi pazienti finiscono col sottoporsi ad intervento chirurgico che, in prima battuta, è un intervento relativamente poco complesso, che si esegue in anestesia locale e necessita di poche ore di ricovero. Tuttavia, in una non piccola percentuale di casi, la riparazione, per i motivi più vari (che vanno dagli errori di tecnica alla mancata osservanza, da parte del paziente, delle regole imposte dal chirurgo nel postoperatorio), fallisce; l’ernia si riforma: si parla, in questo caso, di ernia inguinale recidiva.

La recidiva: un problema frequente nelle ernie inguinali

Le moderne tecniche chirurgiche e l’uso delle protesi hanno ridotto in maniera sostanziale la percentuale di casi di recidiva dopo un intervento per ernia inguinale; tuttavia, un recente studio, condotto su oltre 46.000 pazienti in Danimarca, ha dimostrato che l’incidenza della recidiva dell’ernia inguinale continua a interessare circa il 4% dei pazienti; meno delle percentuali a due cifre che si osservavano prima dell’avvento delle reti: ma, tenendo conto dei numeri prima riportati, in linea teorica solo in Italia l’ernia inguinale recidiva interessa oltre 100.000 pazienti – una non piccola citta!

Il problema che allora si pone al Chirurgo è: qual è il trattamento corretto dell’ernia inguinale recidiva?

Qual è il trattamento corretto dell’ernia inguinale recidiva?

La maggior parte dei Chirurghi tratta l’ernia inguinale recidiva esattamente come aveva trattato l’ernia inguinale primitiva: ovvero, la opera per via anteriore, rifacendo un’incisione chirurgica sulla precedente, e cercando di mettere una “toppa” come si può – molto spesso “inventando” sul momento una qualche variante delle tecniche chirurgiche più usate (il che, all’atto, sembra anche una buona soluzione). Ciò, purtroppo, è concettualmente sbagliato, oltre ad andare contro le indicazioni delle principali linee guida oggi disponibili.

Operare un’ernia recidiva con l’incisione tradizionale quando l’ernia primitiva sia già stata operata per via anteriore significa danneggiare di nuovo un tessuto su cui il chirurgo era già passato nel corso del precedente intervento, in un’area in cui l’anatomia è stata comunque profondamente alterata dalla chirurgia subita dal paziente, e dove vi sono intensissimi fenomeni fibrotici dovuti alla presenza della rete: aumenta, e di molto, il rischio di lesioni vascolari e nervose e di dolore postoperatorio; la parete della regione inguinale si indebolisce ulteriormente, ed il rischio di una nuova recidiva aumenta. Il paziente rischia di trovarsi impelagato in un’odissea infinita e dolorosa.

Ernia recidiva: meglio la laparoscopia

Le linee guida, in questo caso stilate dalla European Hernia Society, parlano chiaro: ernia inguinale recidiva, linee guida, European Hernia Society

If previously anterior: consider open preperitoneal mesh or endoscopic approach (if espertise is present)” – ovvero: se il paziente è stato precedentemente operato per via anteriore, sono indicate la riparazione aperta con rete in posizione preperitoneale (per esempio le tecniche di Stoppa o di Wantz) o la tecnica endoscopica, sempre che expertise is present, ovvero che ci sia un Chirurgo esperto in questa procedura.

In effetti in Italia – per mille motivi, che non è il caso di analizzare in questa sede – sono pochi i Chirurghi in grado di cimentarsi con la riparazione dell’ernia inguinale in laparoscopia, specie se si tratta di un’ernia inguinale recidiva (e forse ancora meno quelli in grado di eseguire un intervento con tecnica di Stoppa o di Wantz). Si tratta di casi difficili, con anatomia comunque alterata (anche se, “passando da dentro”, ovvero dalla superficie interna della regione inguinale, ci si trova a lavorare in un territorio apparentemente “vergine”), che possono essere affrontati solo da chirurghi esperti. Ma i vantaggi sono chiari: si ha la possibilità di riparare il difetto erniario con una rete decisamente più grande di quella che si usa nella chirurgia tradizionale dell’ernia, posizionata in un area “sana” rispetto a quella dove il chirurgo aveva precedente lavorato; e non raramente, si può scoprire che in realtà non si ha a che fare con un’ernia inguinale recidiva, ma con una nuova ernia, magari passata inosservata durante il precedente intervento, o magari formatasi in seguito; e che, guarda un po’, c’è un’ernia anche dall’altra parte, nell’altra regione inguinale, di cui né il paziente, né il chirurgo si erano accorti, e che può essere riparata nel corso dello stesso intervento, prima che cominci a dare fastidio. Senza contare che il dolore postoperatorio è sensibilmente inferiore rispetto all’intervento tradizionale, e che il paziente può ritornare alle proprie attività molto più rapidamente.

Il video della tecnica chirurgica

Ed ecco, per finire, il video di un mio recente intervento per ernia inguinale recidiva, eseguito in laparoscopia (tecnica T.A.P.P., Trans Abdominal Pre Peritoneal). Si tratta di un paziente utrasettantenne alla sua quarta recidiva erniaria (!!! Ovvero, altri tre chirurghi lo avevano già operato passando per la via anteriore, evidentemente senza grandi risultati). Intervento non semplice, come previsto, ma concluso con successo e con soddisfazione del paziente. La rete, come prescritto dalle linee guida, viene collocata nello spazio preperitoneale, ma senza le grandi incisioni necessarie per le tecniche di Stoppa o di Wantz (in effetti, al paziente resteranno tre piccole cicatrici, due da 10 mm ed una da 5 mm…).

Il paziente è stato dimesso il giorno dopo l’intervento, e non ha avuto nessun disturbo o complicazione nel postoperatorio. Questi risultati si ottengono nella grande maggioranza dei casi dei pazienti operati in laparoscopia. Ma – lo ripeto – l’ernioplastica inguinale laparoscopica, soprattutto in caso di ernia inguinale recidiva, non è per tutti, e deve essere eseguita da un chirurgo esperto.

Buona visione!

Dr. Salvatore Cuccomarino
Cuccomarino, MD
Medico Chirurgo Specialista in Chirurgia Generale
Corso Galileo Ferraris 3
Chivasso,Torino
100034
IT
Telefono 0110438161
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E dopo l’intervento, il laparocele

laparocele, ernia, ernia incisionale, ernia addominale, eventrazioneE dopo l’intervento, il laparocele. Non è tanto infrequente (anzi!) che dopo un intervento di chirurgia addominale compaia, in prossimità della cicatrice chirurgica, un “rigonfiamento”. E’ il laparocele, o ernia incisionale: la sutura della parete ha ceduto (“deiscenza della sutura”), ed ora i visceri contenuti nell’addome premono verso la cute.

Il laparocele è un’ernia vera e propria. La differenza è che compare non in corrispondenza di un orifizio naturalmente presente, ma di un difetto creato chirurgicamente. Le condizioni che facilitano la comparsa di un laparocele sono molteplici, e vanno dagli stili di vita errati (es. il fumo), a stati fisiologici (come l’età avanzata), dismetabolici (per esempio la malnutrizione), patologici (come i tumori).

La terapia di un laparocele è sempre chirurgica, e presuppone un attento studio preoperatorio (la TC dinamica della parete addominale), il quale deve condurre ad altrettanto attente valutazioni sulla scelta della tecnica chirurgica da adottare.

La riparazione di un laparocele può infatti essere realizzata sia per via laparoscopica, mininvasiva, che per via aperta, ma le due modalità di accesso non sono intercambiabili. La chirurgia mininvasiva è efficace nei difetti di dimensioni più modeste, non oltre i 6-8 cm. Nel caso di difetti di dimensioni maggiori, infatti, Il posizionamento e la corretta distensione della rete possono essere difficoltosi, esponendo il paziente ad un maggior rischio di recidiva. Inoltre, un laparocele di grandi dimensioni presenta anche altre problematiche di cui è cruciale tenere conto: ad esempio, il volume dei visceri erniati e dello spazio residuo della cavità addominale, che devono essere adeguatamente calcolati: ciò per evitare di determinare, con una riparazione non corretta, un aumento pressorio intraddominale, che può essere causa di insufficienza respiratoria nel paziente. Inoltre, nei grandi laparoceli si assiste spesso ad un’atrofia, associata a retrazione, dei muscoli della parete addominale: ciò può rendere impossibile “ricostruire la linea media“, come si dice in gergo, ovvero ricollocare gli strati muscolo-fasciali della parete nella loro corretta posizione in modo da riparare il difetto addominale. In questi casi è necessario procedere alla separazione anatomica dei componenti (SAC), ovvero all’isolamento dei singoli strati della parete addominale: ciò permette sia di riavvicinare i componenti muscolo-fasciali alla linea media, sia di collocare reti di grandi dimensioni, indispensabili per ricostruire sia la struttura che la funzione della parete addominale in questi casi.

Si tratta di interventi molto complessi e lunghi, che possono essere eseguiti solo da team chirurgici con grande esperienza. La tecnica di separazione anatomica dei componenti più raffinata è quella di Carbonell-Bonafé, due chirurghi spagnoli che senza difficoltà possono essere annoverati tra i grandi Maestri della chirurgia di parete del XX secolo.

Io ho avuto la fortuna di apprende la tecnica di Carbonell-Bonafé direttamente dal professor Fernando Carbonell; attualmente, la mia équipe è tra le pochissime (credo meno di 5) in tutta Italia ad eseguirla. Ecco un mio breve filmato, che riassume in meno di 20 minuti un intervento per laparocele catastrofico riparato con la tecnica di Carbonell e durato circa 5 ore.

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Chirurgia della parete addominale nel paziente oncologico

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La chirurgia della parete addominale

La chirurgia della parete addominale è una chirurgia superspecialistica, sotto molti aspetti più complessa della maggioranza degli altri interventi addominali (fatte salve, forse, la chirurgia pancreatica e la chirurgia metabolica), che necessita di anni di studio e di applicazione, e di una conoscenza dettagliatissima dell’anatomia umana, per poter essere realizzata con successo. Nel nostro sventurato Paese, da tanti dei molti, troppi parrucconi della sanità nostrana la chirurgia della parete addominale è considerata una branca minore delle scienze mediche; ma basta valicare le Alpi per capire quanto sia apprezzata, ed anche temuta, nell’ambiente chirurgico internazionale. E ciò si capisce bene se si osservano i disastri, dovuti all’impreparazione chirurgica, spesso combinati da chi si avvicina al tavolo operatorio senza il dovuto rispetto per la parete addominale: che, è bene ricordarlo, è uno dei muri portanti della “casa” in cui viviamo, il nostro corpo. Come si vivrebbe in una casa dalle mura sventrate? La qualità della vita sarebbe infima; ed infima è la qualità della vita di chi viene operato sconsideratamente da chi non conosce le leggi – spesso molto complesse – che ci impone di seguire la parete addominale.

La storia della chirurgia della parete addominale

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Corso di Chirurgia della parete addominale nel paziente oncologico

È per me quindi un grande onore, ed un grande orgoglio, partecipare, come UNICO RELATORE INVITATO ITALIANO tra decine di mostri sacri della Chirurgia spagnola (tra le migliori del mondo) e di quella ispanoamericana, al Corso Internazionale di Chirurgia della Parete Addominale nel Paziente Oncologico organizzato dalla Sociedad Hispanoamericana de Hernia e dall’Università di Valencia il prossimo ottobre.

Il corso è patrocinato dalla Generalitat Valenciana, dalla Asociación Española de Cirujanos e dall’Instituto Cervantes, per citare solo alcune delle grandi Istituzioni spagnole che hanno dimostrato interesse per il nostro lavoro; oltre che da numerose Società Scientifiche internazionali.

Terremo alta la bandiera del nostro Paese, ed onoreremo il nostro lavoro!

León Herszage è morto
León Herszage, grande Chirurgo Argentino, è morto

León HerszageLeón Herszage, Maestro di tutti i Chirurghi di parete addominale Argentini ed una delle più eminenti personalità della Chirurgia del XX secolo, è morto l’11 gennaio scorso a Buenos Aires, dove risiedeva.

Ho avuto il privilegio di assistere ad una sua conferenza a Bilbao, nel Paese Basco dove allora risiedevo, nel 2011. L’occasione era l’XI Congreso Nacional de Cirugía de la Pared Abdominal patrocinato dalla Asociación Española de Cirujanos. Mi affascinó il suo entusiasmo, nonostante l’etá avanzata, nel raccontare la vicenda della sua vita professionale. Le sue conquiste culturali, le scoperte, anche i suoi errori, e la devozione  che ancora allora metteva nel suo lavoro. Purtroppo, in quell’occasione non ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente.

Ebbi comunque, in seguito, modo di sperimentare la sua cortesia e disponibilità. Volevo acquistare i suoi testi di Chirurgia di parete, e dal momento che facevamo parte della stessa Società scientifica, la SoHAH (Sociedad Hispanoamericana de Hernia, che di lui ha pubblicato in questi giorni questo bel ricordo) presi il coraggio a due mani e gli mandai una email, chiedendogli dove potessi trovarli.

Mi rispose a stretto giro di posta, con quella cortesia antica che noi abbiamo dimenticato e che oggi si ritrova solo nei Paesi di habla española. Mi disse che sarebbe stato suo piacere regalarmeli, se avessi avuto modo di passare nel suo consultorio a Buenos Aires.

Speravo di poterlo fare; purtroppo non ci sono riuscito.

Con León Herszage perdiamo non solo un grande Collega, ma un riferimento scientifico fondamentale della nostra professione. Con lui scompare uno dei massimi esponenti di quell’aristocrazia culturale che fu un tempo (ora non più, evidentemente per colpa nostra…) in Europa, e continua oggi ad essere in molti Paesi di lingua spagnola, il pensiero medico.

Che riposi in pace.

 

 

ernie, Panamá
Ernie panameñe: cronaca di un successo

E così, sono stato a Panamá. Ho ritrovato vecchi amici, ne ho conosciuti di nuovi, ma soprattutto ho avuto la gioia di operare con loro, di spiegare le mie tecniche, di dimostrarle e di insegnarle, e di aiutare qualche paziente a risolvere i suoi problemi di parete.
In quattro giorni ho eseguito una ventina di interventi, la metà per via laparoscopica minimamente invasiva; ho avuto la fortuna di accedere a sale operatorie ultramoderne e superaccessoriate, e di usare protesi di altissima qualità, come la Herniamesh Relimesh o la nuovissima Hybridmesh, una rete che nel giro di due anni si riassorbe per il 75%, lasciando infine nel paziente pochissimo materiale estraneo. Una rete fantastica per le riparazioni di parete, ad esempio, negli atleti o negli adolescenti. Niente a che vedere con le ormai scarsissime risorse del Sistema Sanitario Nazionale italiano, destinate, oltretutto, ad assottigliarsi ulteriormente nei prossimi anni.
Ho operato pazienti con ernie inguinali, ernie crurali, ernie epigastriche, laparoceli successivi, soprattutto, ad interventi di ginecologia od a tagli cesarei. Interventi in alcuni casi molto complessi, ma sempre portati a termine con ottimi risultati. Insomma, è stato davvero esaltante, un pieno successo. Ed ecco la fotocronaca di quei giorni!

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Lo staff di sala operatoria. Io sono quello in seconda fila, col berrettino colorato: prima le bellezze locali!

 

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Caso piuttosto complesso: grande ernia addominale su incisione di Pfannestiel, il taglio normalmente usato dai ginecologi per le isterectomie ed i parti cesarei. Qui sto disegnando la forma della protesi sull’addome della paziente, protesi che verrà collocata per via laparoscopica

 

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Con il mio grande amico Miguel Aguirre. Sto ritagliando la rete, una Relimesh, da posizionare per via mininvasiva laparoscopica

 

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Sempre con Miguel, mentre disegnamo la forma della rete Relimesh per un altro paziente

 

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Foto di gruppo dell’équipe chirurgica

 

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La magia delle luci in chirurgia laparoscopica!

 

che cos'è un'ernia
Ho un’ernia… ma che cosa è un’ernia?!?

Spesso, quando parliamo con i nostri pazienti, dimentichiamo che il linguaggio medico è una specie di linguaggio “iniziatico”, poco comprensibile a chi non sia dell’ambiente. Per cui, il paziente sa di avere qualcosa ma non sempre sa cosa.

Questo è soprattutto vero per le patologie considerate “minori” (cosa che poi non sono): se la persona che ho davanti ha un tumore, spendo parecchio tempo per spiegarle bene la sua situazione; ma se ha un’ernia inguinale, o delle emorroidi, do per scontato che già sappia di che si tratti, e non perdo troppo tempo in spiegazioni.
Ma si tratta davvero di tempo perso? Quante persone sanno realmente cosa è un’ernia – e, di conseguenza, sono in grado di capire se e quanto sia pericolosa?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Che cosa è un’ernia

“Per ernia si intende la fuoriuscita di un viscere dalla cavità che normalmente lo contiene, attraverso un orifizio, un canale anatomico o comunque una soluzione di continuo”.

Questa è la definizione classica dell’ernia, di qualsiasi ernia, da quella inguinale all’ernia del disco; ma non è di comprensione così immediata se non si hanno almeno delle nozioni base di anatomia.

E allora proviamo a ragionare per similitudine. Se siete della mia generazione, quella dei ragazzini che quando bucavano lo pneumatico della bicicletta non lo cambiavano ma rattoppavano la camera d’aria, vi verrà facile.

Pensate appunto a uno pneumatico; e immaginate che il copertone si laceri, e che dalla lacerazione venga fuori la camera d’aria, come nella fotografia qui sotto: ecco che cosa è un’ernia: la lacerazione rappresenta “l’orifizio, il canale anatomico o comunque la soluzione di continuo” della definizione di prima; quello che noi chirurghi chiamiamo “il difetto erniario”.

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La camera d’aria che viene fuori dalla lacerazione è il “sacco erniario”: nel caso dell’ernia inguinale, è il peritoneo che rivestiva all’interno la parete inguinale “lacerata” e che ora fa capolino attraverso la lacerazione stessa.

Se poi il sacco contiene un “viscere” che si è spinto attraverso la “lacerazione” – e che nel caso di un’ernia addominale (le ernie addominali sono, a seconda del punto della parete addominale in cui si manifestano, l’ernia inguinale, la crurale, la ombelicale, la epigastrica, l’ernia di Spigelio…) è costituito in genere da grasso (l’omento) o da un pezzo di intestino – questi è il “contenuto erniario”. Facile, no?

Ora che (spero) è chiaro che cosa è un’ernia, veniamo all’altra domanda: perchè l’ernia può essere pericolosa e dev’essere operata? Bene, nelle ernie addominali – di cui le più frequenti sono le inguino-crurali e le ombelicali – ed in particolare, paradossalmente, in quelle in cui il difetto è piccolo, è possibile, come già detto, che il contenuto erniario sia un’ansa intestinale. A volte, succede che l’ansa fuoriuscita non si riesca a “ridurre”, ossia a ricollocare nella sua posizione naturale dentro l’addome. Si parla in questo caso di ernia incarcerata. L’ansa incarcerata, a causa della compressione che subisce, si imbibisce di liquidi e si “gonfia”, e ciò può causare una compressione delle arterie e delle vene che la irrorano.  Questa è l’ernia strangolata, condizione pericolosissima per la vita perchè ad altissimo rischio di necrosi (ovvero di morte) dell’ansa intestinale e di sua perforazione (come nel caso della foto a lato).

Ecco perchè tutte le ernie devono essere sottoposte all’attenzione di un chirurgo esperto in chirurgia della parete addominale, l’unico specialista che possa determinare se operare, quando e con che tecnica.

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