La tossina botulinica A nella chirurgia dei laparoceli
Tutti i Chirurghi che si occupano di parete addominale hanno un obbiettivo primario da raggiungere nei loro interventi: quello di ottenere la cosiddetta riparazione “tension-free”, ossia una riparazione in cui i mezzi utilizzati per riparare il difetto della parete – le suture, le protesi…- non siano sotto tensione.
Non esiste un chiaro accordo nella comunità chirurgica internazionale su cosa sia la “tensione”. Tuttavia, sembra che almeno due fattori giochino un ruolo importante nella determinazione della tensione: l’aumento della pressione all’interno dell’addome e le cosiddette “forze distrattive” della parete addominale, cioè quelle che tendono a aumentare il diametro del difetto di parete, sia esso un’ernia, un laparocele od una diastasi dei retti. Per bilanciare l’effetto di queste forze “tensiogene”, il Chirurgo ha a disposizione diverse armi che utilizza in base alla sua esperienza ed alle sue capacità: da quelle più classiche, come le tecniche di separazione dei componenti o l’uso di protesi di grandi dimensioni, ad altre più moderne, come l’uso preoperatorio di tecniche adiuvanti come la tossina botulinica A ed il pneumoperitoneo progressivo preoperatorio. Dalla parte del Chirurgo vi sono poi dei fattori “biologici”, come la capacità dell’organismo di “integrare” (ovvero di far diventare parte di se stesso) le protesi usate: quest’ultima capacità, tuttavia, dipende anche dal materiale di cui è composta la protesi, e dalla posizione in cui essa viene collocata. Oggi sappiamo, ad esempio, che bisognerebbe il più possibile evitare di posizionare una rete all’interno del peritoneo, a contatto con i visceri addominali, per i danni che essa può provocare a questi ultimi; e che comunque, anche posizionando una protesi intraperitoneale, il difetto di parete andrebbe sempre prima suturato. Quest’ultima indicazione – la cosiddetta tecnica IPOM PLUS – purtroppo è seguita oggi da pochissimi chirurghi in Italia, in quanto la chirurgia della parete addominale non è ancora considerata una specialità autonoma e sono rarissimi i Professionisti che hanno una specifica formazione in tal senso.
Vi sono poi dei fattori “lato paziente” che influiscono in maniera sensibile sulla tensione della riparazione: il più importante è l’obesità – e difatti nessun Chirurgo di parete opererebbe (a meno che non si tratti di situazioni di emergenza) un paziente obeso senza prima avergli fatto perdere peso, ricorrendo anche, se necessario, alla chirurgia bariatrica.
Estremamente importanti ed interessanti dal punto di vista della tecnica chirurgica sono le forze “distrattive”. Quando si forma un difetto della parete addominale, soprattutto se si tratta di un’ernia postchirurgica (conosciuta anche come ernia incisionale o laparocele) o di una diastasi dei retti, i tre muscoli laterali dell’addome (obliquo esterno, obliquo interno e trasverso) perdono una delle loro inserzioni, quella mediale, sulla fascia dei muscoli retti dell’addome; col tempo i muscoli vanno incontro a fibrosi, si accorciano, si ispessiscono e perdono, almeno in parte, le loro capacità elastiche. Quando si arriva all’intervento chirurgico, tali profondi cambiamenti strutturali dei muscoli sono una delle principali cause di tensione della riparazione, soprattutto se il difetto è grande. Ciò spiega perchè se si riparano i difetti della parete addominale, e soprattutto un’ernia incisionale o laparocele, od anche una grande diastasi dei retti, con una semplice sutura e senza utilizzare le protesi, le recidive, a 10 anni dalla chirurgia, arrivano fino al 50% dei casi.
Il laparocele è sempre conseguente ad una laparotomia, ossia ad un intervento chirurgico che preveda l’incisione della parete addominale (ad esempio, dopo un intervento di asportazione della colecisti, dell’appendice, di un tumore intestinale per via aperta, dell’asportazione dell’utero eccetera) ed è frequente nei pazienti sottoposti ad intervento per tumore. Noi sappiamo che se, al momento della chiusura della laparotomia, utilizziamo una rete “profilattica” (ossia una rete impiantata con lo scopo di ridurre la probabilità che si formi un laparocele), l’incidenza del laparocele stesso, a 10 anni, precipita al 5-10%. La rete “profilattica è normalmente molto più piccola rispetto a quelle che si usano nella riparazione dei laparoceli: questo perchè al momento della chiusura di una laparotomia i muscoli sono molto più elastici di quelli di di un paziente con laparocele, e possono essere facilmente avvicinati tra loro.
Da questa osservazione, semplice ma importante, è nata un’idea altrettanto semplice: se si riuscisse a restituire ai muscoli dei pazienti con un grande difetto della parete addominale – un laparocele, ad esempio, come si è detto; ma anche una grande diastasi dei retti con diametro superiore ad 8 cm – la lunghezza e l’elasticità originarie, la tensione delle suture al momento della riparazione del laparocele si ridurrebbe moltissimo, e di conseguenza si ridurrebbe il rischio di recidiva.
Questa idea è stata applicata per la prima volta alla chirurgia dei laparoceli da un geniale chirurgo messicano, il Dr. Tomás Ibarra Hurtado, nel 2007. Il Dr. Ibarra Hurtado ha pensato che la








tossina botulinica A, farmaco molto usato tanto in neurologia (ad esempio per il trattamento degli spasmi muscolari del viso), che in chirurgia plastica (per il trattamento delle rughe del volto), che in proctologia (per il trattamento delle ragadi anali), iniettata nei muscoli della parete addominale prima di un intervento per laparocele, poteva provocare un rilassamento di quei muscoli: a questo punto, la pressione esercitata su tali muscoli dai visceri contenuti all’interno dell’addome avrebbe provocato un loro allungamento. Questa ipotesi è stata confermata mediante studi TAC effettuati a 2-4 settimane di somministrazione della tossina: nei pazienti sottoposti a tale trattamento, tutti portatori di grandi laparoceli, i muscoli laterali dell’addome risultavano effettivamente allungati ed assottigliati in maniera significativa. Ciò permette di avvicinare molto più facilmente tra loro i muscoli e quindi di riparare il difetto senza tensione.
La tecnica del Dr. Ibarra Hurtado è oggi ampiamente diffusa in tutto il mondo, ed utilizzata dai più importanti chirurghi specializzati nella riparazione della parete addominale. In Italia, tuttavia, il nostro gruppo – io ho appreso la tecnica direttamente dal dr. Ibarra, nell’ambito di uno splendido seminario da lui tenuto nel 2018 a Madrid durante il congresso della Sociedad Hispano-Americana de Hernia – è l’unico ad utilizzare la tossina botulinica A nelle ricostruzioni dei grandi difetti di parete.
L’effetto della tossina botulinica A persiste per circa 3 mesi; in questo arco di tempo, i processi riparativi dei tessuti e l’integrazione della protesi progrediscono a tal punto che, cessato l’effetto della tossina, la solidità della riparazione non è più a rischio.
L’uso della tossina botulinica A nella chirurgia dei grandi difetti di parete ha confermato che il principale fattore di rischio per le recidive dei laparoceli e degli altri grandi difetti della parete addominale (come ad esempio le grandi diastasi dei retti, con diametro superiore a 8 cm) è proprio la tensione delle suture. Il suo utilizzo, insieme con altre strategie preoperatorie di preparazione ed ottimizzazione dell’intervento (ad esempio la perdita di peso, la cessazione del fumo, il controllo del diabete eccetera) consente di ridurre in maniera significativa le recidive ed il dolore postoperatorio e di utilizzare reti di dimensioni più ridotte.
Nel nostro Paese, il Sistema Sanitario Nazionale non riconosce l’utilizzo della tossina botulinica A per la chirurgia della parete addominale; pertanto, come già detto, il suo uso è praticamente sconosciuto.