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tumore del colon, cancro del colon, anatomia del colon
Tumore del colon: chirurgia mininvasiva a Chivasso

Il tumore del colon è tra i tumori più frequenti nel nostro Paese, al terzo posto (dopo prostata e polmone ) negli uomini ed addirittura al secondo posto (dopo la mammella) nelle donne. Nel 2019, le nuove diagnosi di tumore del colon attese in Italia sono 49.000 (27.000 uomini, 22.000 donne). La mortalità, grazie anche ai programmi di screening, è in costante riduzione da anni. La diagnosi precoce consente di arrivare ad un tasso di guarigione alto per questo tumore; oggi cominciano ad essere disponibili test genetici sul sangue e sulle feci che consentono di identificare il rischio di sviluppare il cancro del colon molto precocemente. Questo è tato più importante in quanto, negli ultimi anni, l’età media in cui compare il tumore del colon si è abbassata.

La terapia del tumore del colon è chirurgica, e consiste nell’asportare il tumore stesso ricostruendo poi l’integrità del colon stesso onde consentire il transito delle feci.

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Anatomia del colon

Il colon, da un punto di vista anatomo-chirurgico, è suddiviso in regioni: cieco, colon ascendente, flessura epatica, colon trasverso, flessura splenica, colon discendente, colon sigmoideo e retto; il tumore può colpire ognuno di questi distretti. Le manifestazioni cliniche del cancro del colon variano a seconda di quale distretto sia colpito: il tumore del cieco e del colon ascendente, per esempio, è meno frequente, più tipico degli anziani e si manifesta molto spesso con anemia; il tumore del colon discendente o del colon sigmoideo è più frequente e si presenta più spesso con sintomi da occlusione intestinale e/o rettorragia (sanguinamento dall’ano).

Oggi il gold standard per questo intervento è la chirurgia laparoscopica: mentre fino a pochi anni fa era necessario eseguire una laparotomia, ossia un ampio taglio dallo sterno al pube, per poter accedere al colon, oggi, lo stesso intervento può essere realizzato attraverso 3-4 piccoli fori nella parete addominale, ed un minimo taglio, in genere sopra il pube, per estrarre dall’addome il tumore una volta asportato.

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Intervento di emicolectomia in laparoscopia

L’asportazione laparoscopica del colon, soprattutto del cieco e del colon ascendente, è un intervento tecnicamente complesso: per questo molti chirurghi non lo eseguono, continuando ad effettuare il taglio tradizionale. Tuttavia, in mani esperte, assicura una asportazione completa del tumore e dei linfonodi (possibile sede di metastasi), riducendo in maniera molto significativa il dolore postoperatorio e accelerando il recupero funzionale dei pazienti ed il loro rientro a casa ed alle proprie attività: tipicamente, un paziente sottoposto ad asportazione laparotomica (cioè con il taglio tradizionale) di un cancro del colon rimane ricoverato 7-10 giorni, mentre per un paziente a cui il tumore del colon sia stato asportato per via laparoscopica la degenza e di 4-5 giorni.

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La cicatrice laparotomica dopo asportazione di un tumore del colon

La laparotomia lascia un’ampia cicatrice e può essere a sua volta causa di malattie, tipicamente della formazione di un laparocele, ovvero di un’ernia addominale che compare sulla cicatrice laparotomica. Spesso si tratta di ernie molto grandi, che possono essere riparate solo una volta trascorso un congruo periodo di tempo dopo l’asportazione del tumore, con interventi chirurgici non di rado molto impegnativi per il paziente – anche più complessi dell’asportazione del cancro del colon. In questi casi la qualità della vita del paziente peggiora significativamente: possono comparire dolori addominali, mal di schiena, difficoltà respiratorie, oltre che tutte le complicanze tipiche del laparocele, come l’incarceramento e il pericolosissimo strozzamento.

Il rischio di laparocele è invece pressoché nullo quando il paziente e operato per via laparoscopica.

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Tipico aspetto delle cicatrici dopo intervento in laparoscopia

Nel nostro Ospedale di Chivasso, io realizzo per via laparoscopica gli interventi chirurgici per l’asportazione del tumore del colon (sia l’emicolectomia destra, nei casi di tumore del cieco, del colon ascendente, della flessura epatica e della prima porzione del colon trasverso; che l’emicolectomia sinistra, per il cancro del colon discendente, del colon sigmoideo, della flessura splenica e della seconda porzione del colon trasverso); in particolare, sono stato il primo, ed attualmente sono ancora l’unico, ad effettuare l’emicolectomia destra per via laparoscopica.

Per avere ulteriori informazioni potete raggiungermi compilando il form che segue, scrivendo una mail a info@cuccomarinomd.com, mandandomi un messaggio WhatsApp o chiamando lo 01119903768.

 

PER INFORMAZIONI

     

    Dr. Salvatore Cuccomarino
    Medico Chirurgo Specialista in Chirurgia Generale
    Chirurgia dell'apparato digerente, chirurgia laparoscopica del colon, chirurgia endoscopica della diastasi dei retti (REPA) e dei laparoceli, chirurgia delle ernie, coloproctologia
    Studio De Medica - corso Galileo Ferraris 12
    Chivasso,TO
    10141
    IT
    Telefono 01119903768
    Too young? Il cancro del colon negli under 50

    CANCRO DEL COLON: UNA MALATTIA UNDER 50?

    Nonostante tra gli individui di età superiore ai 50 anni l’incidenza e la mortalità del cancro del colon-retto si siano ridotte negli ultimi anni, grazie soprattutto ai programmi di screening, per motivi ancora sconosciuti l’incidenza di tale patologia nella popolazione di età inferiore ai 50 anni è cresciuta drammaticamente. Nei soli Stati Uniti, per come risulta dai registri epidemiologici, l’incidenza del cancro del colon-retto ogni 100.000 giovani adulti è aumentata dell’1,6% nelle donne e dell’1,5% negli uomini per anno tra il 1992 e il 2005; sempre negli USA, il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno negli under 50 raggiunge le 13000 unità.

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    CANCRO DEL COLON UNDER 50: ELEVATA MORTALITÀ

    Il dato drammatico è l’elevata mortalità che si osserva in questi pazienti, dovuta principalmente ad un ritardo nella diagnosi, di cui sono responsabili tanto i pazienti che i medici: i primi perchè spesso non comprendono o sottovalutano i sintomi, i secondi perchè tendono a non correlare i sintomi con la patologia, in considerazione dell’età dei pazienti: la conseguenza è che un errore diagnostico si registra nel 15-50% dei casi, a seconda dei reports.

    Da sempre, i Medici associano la comparsa del cancro del colon in età giovanile con alcune sindromi ereditarie, come la sindrome di Lynch. Tuttavia, oggi sappiamo che nel 75% circa dei casi in questi pazienti il tumore non è correlabile nè con una sindrome ereditaria nè con alcuna familiarità.

    È invece interessante notare come, negli USA, l’aumentata incidenza negli ultimi 30 anni del cancro del colon negli under 50 sia affiancata, nello stesso gruppo di pazienti, da un parallelo aumento dell’incidenza dell’obesità e del diabete. Nella stessa popolazione si è osservato, nel medesimo periodo, un aumento del consumo di bevande zuccherate ed una diminuzione nell’assunzione di latte – ricco di calcio, che sembra essere un fattore protettivo nei confronti del cancro del colon. Sono stati registrati anche altri fattori, sia comportamentali che dietetici, associati alla precoce insorgenza della malattia, e tra essi l’aumentato consumo di preparati di carne di origine industriale, l’abuso di alcool e lo scarso esercizio fisico. Tuttavia, i dati disponibili sono ancora insufficienti. Al momento, sono in corso ricerche sulle possibili relazioni tra la malattia ed i cambiamenti nella flora batterica intestinale e l’esposizione a tossine ambientali ed a farmaci quali statine ed antibiotici.

    CANCRO DEL COLON UNDER 50: CHE FARE?

    Cosa fare, allora? Il cancro del colon è una malattia curabile quando diagnosticato precocemente, ma la drammatica riduzione dell’età media della sua insorgenza deve far riflettere sia gli epidemiologi che noi clinici. Personalmente ritengo che si debba produrre il massimo sforzo sia nell’identificare i fattori di rischio nei giovani adulti, che nell’educare questa fascia di popolazione, sensibilizzandola verso i possibili segni precoci della malattia – cambiamenti dell’alvo, sanguinamento, modificazioni dell’aspetto delle feci… – e soprattutto nell’ampliare i programmi di screening, anche implementando nuove tecniche di biologia molecolare, di acune delle quali abbiamo parlato in precedenti articoli.

    Source: “Why Is Colorectal Cancer Targeting the Young?“, di Cynthia J. Gordon

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    Il Giano Bifronte della Medicina, ovvero: della malattia diverticolare

    Poche malattie tra quelle a maggior diffusione in Occidente sono più capricciose ed infide della malattia diverticolare. E forse dovrei dire che, nonostante sia molto diffusa, la malattia diverticolare viene spesso sottostimata dalla Medicina Generale, che ancora oggi la tratta secondo paradigmi dimostratisi, nel tempo, sbagliati. Questo contribuisce ad alimentare il carattere “ombroso” della condizione, la qual cosa confonde ulteriormente le idee dei Medici, specie dei Medici di base e di alcuni Medici di Pronto Soccorso, che non sanno mai se definirla come patologia “internistica” o “chirurgica”. Che facciamo? La passiamo allo Specialista in Medicina Interna? Al Gastroenterologo? Al Chirurgo dell’Apparato Digerente? Tanti dubbi non rallentano certo, anzi spesso promuovono, la progressione della malattia, che da condizione sicuramente di interesse internistico non raramente si trasforma in urgenza chirurgica.
    La malattia diverticolare è una patologia del nostro tempo, legata molto verosimilmente alla diminuita introduzione di fibre con la dieta ed al progressivo invecchiamento (e quindi deterioramento organico) della popolazione.
    I dati di cui disponiamo, che vengono da esami radiologici ed autopsie, ci confermano la sua ampia diffusione, essendo essa presente (anche se non di rado del tutto asintomaticamente) nel 30-40% della popolazione con più di 60 anni.
    Infatti, la malattia diverticolare può non dare segno di sé, o quasi, per tutta la vita. A volte, specie nei periodi di stitichezza, e soprattutto se siamo stitici tout court, possiamo notare un dolorino più o meno accentuato nella parte inferiore sinistra dell’addome; meno frequente è l’eliminazione di sangue con le feci, che fa scattare il campanello d’allarme e ci induce ad andare dal medico.
    In circa un terzo dei casi, però, i diverticoli si infiammano: essi, infatti, sono come tante piccole appendici localizzate nel colon discendente e nel colon sigmoideo; ed, esattamente come succede all’appendice “ufficiale” quando si sviluppa un’appendicite, possono infiammarsi, e l’infiammazione complicarsi: i diverticoli infiammati possono provocare la formazione di ascessi e perforarsi, causando una peritonite a volte molto grave, associata a febbre alta ed a malessere generale pronunciato. Ecco la diverticolite. La quale è l’altra faccia di Giano, quella più malefica, della malattia diverticolare. Non di rado, la diverticolite impone l’intervento chirurgico: che, se non eseguito in urgenza, viene comunque proposto già al secondo episodio diverticolitico, o addirittura al primo se il paziente è giovane, visto che la probabilità di recidive sempre più aggressive è molto elevata.

    Chirurgia della malattia diverticolare

    La chirurgia della diverticolite è cambiata col tempo, grazie anche al sempre maggior ricorso alle tecniche minimamente invasive laparoscopiche. Negli anni ’80 del secolo scorso, noi chirurghi tendavamo ad essere molto aggressivi: operavamo il paziente in urgenza, portavamo via il segmento di colon malato e confezionavamo il cosiddetto “ano preternaturale”: ovvero la colostomia, il famoso e famigerato “sacchetto”, che il paziente si teneva 5-6 mesi per essere poi rioperato per la ricostruzione del transito. Era l’intervento di Hartmann, che tante vite ha salvato, da un lauto, e tante morti causato dall’altro, e che ancora oggi, in occasioni ben determinate, viene realizzato. Questo intervento non è per niente facile, ed è gravato da non poche complicazioni; nel complesso, la chirurgia di Hartmann per diverticolite acuta ha una morbilità (ovvero dà origine a complicanze postchirurgiche) che può arrivare fino al 50% dei casi in funzione della gravità del quadro diverticolitico iniziale; ed una mortalità che in alcune casistiche supera anche il 20% dei casi.
    Oggi, come ho detto, le tecniche di diagnosi (soprattutto l’affinamento delle metodiche TAC e lo sviluppo della colonscopia virtuale) e l’affermarsi della laparoscopia ci consentono di “mirare” meglio sia il momento in cui intervenire che la tecnica da adottare. La crisi diverticolare (ovvero, il paziente che arriva in Pronto Soccorso accusando un importante dolore al quadrante inferiore sinistro dell’addome, con febbre, nausea e malessere generale) in genere è dovuta alla microperforazione di un diverticolo, che puo “autocontenersi per tamponamento” (sembra difficile, ma non lo è poi tanto: avete presente quando da ragazzini si riparavano le camere d’aria forate della bicicletta incollandoci sopra una toppa di gomma? Beh, è più o meno la stessa cosa…) dando luogo ad una peritonite molto localizzata: in questo caso, studio TAC per confermare la situazione addominale, riposo intestinale per qualche giorno e terapia antibiotica mirata sono la condotta medica giusta. Se l’ “autotamponamento” è insufficiente o inefficace, ovvero se la TAC ci dice che in peritoneo è già presente qualcosa che non dovrebbe esserci (per esempio, del liquido libero o del pus) allora si va all’intervento chirurgico urgente, che oggi può e deve essere realizzato per via mininvasiva laparoscopica: si introduce l’ottica laparoscopica e si esplora l’addome che, quando si confermi per visione diretta che il problema è limitato e localizzato, viene lavato accuratamente e drenato. In questo caso, qui finisce il primo tempo della chirurgia: il paziente viene sottoposto a terapia antibiotica, riposo intestinale, ed al momento giusto rimandato a casa, con l’indicazione a sottoporsi ad intervento chirurgico elettivo dopo 3-4 mesi.
    A volte, tuttavia (sempre meno spesso, fortunatamente…), un semplice lavaggio-drenaggio non è sufficiente, ed il paziente deve essere sottoposto ad intervento di resezione del tratto di intestino malato e colostomia – il famoso intervento di Hartmann, insomma: solo che oggi la chirurgia, nella maggior parte dei casi, può e deve essere eseguita per via laparoscopica: la qual cosa riduce i rischi e le complicanze postchirurgici, e consente, dopo qualche mese, una ricanalizzazione anch’essa laparoscopica.
    Nel caso in cui invece il lavaggio-drenaggio sia sufficiente, l’intervento definitivo, che come ho detto viene eseguito dopo 3-4 mesi, è la resezione del viscere malato con ricostruzione del transito nello stesso tempo, la quale anch’essa, nella maggior parte dei pazienti, può, e deve, essere eseguita per via laparoscopica.
    Attenzione: dal punto di vista tecnico chirurgico questo intervento è molto complesso, dev’essere eseguito rispettando i criteri dell’arte (altrimenti è inefficace) e deve essere realizzato da un’équipe esperta in chirurgia laparoscopica avanzata e chirurgia laparoscopica del colon. Non è cosa per tutti, insomma. Only the braves!
    Se avete problemi diverticolari, e soprattutto se siete giovani, consultateci: spesso bastano alcuni semplici provvedimenti “igienici” per tenere sotto controllo la situazione. E, se siete candidabili all’intervento, avrete la sicurezza di affidarvi a Chirurghi per i quali la laparoscopia non ha più segreti…

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